Energia, mezza Europa fa da sé. Sale l’onda del protezionismo

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Crescono i timori sui flussi da Norvegia, Francia, Germania (e Svizzera): la solidarietà su cui vacilla la politica Ue ancora prima dell’inverno. E gli Usa studiano nuovi divieti all’export.

Nella tempesta perfetta che minaccia la nostra sicurezza energetica è partito l’assalto alle scialuppe di salvataggio. Mors tua vita mea, come dicevano gli antichi romani. Così, prima ancora dell’inverno, il principio di solidarietà che dovrebbe guidare l’Europa attraverso la crisi ha già iniziato a vacillare.

Oggi si grida allo scandalo per il piano da 200 miliardi di euro con cui la Germania conta di mettersi in salvo da sola, a prescindere da quanto vorranno o potranno fare le istituzioni comunitarie, paralizzate da mille veti incrociati. Critiche sono arrivate anche da due esponenti di spicco dell’esecutivo Ue, i commissari Thierry Bréton e Paolo Gentiloni, che questa settimana in una lettera aperta hanno esortato ad un’azione comune perché «solo una risposta europea può proteggere la nostra industria e i cittadini».

«Dobbiamo proteggere il nostro mercato unico ed evitare la frammentazione», ha esortato per l’ennesima volta venerdì Ursula von der Leyen, la presidente dell’esecutivo Ue, dopo che il vertice informale di Praga si è chiuso con un nulla di fatto. Le insidie al principio di solidarietà – formalizzato nell’Articolo 122 del Trattato di Lisbona, con un riferimento esplicito proprio all’energia – non derivano soltanto da fughe in avanti come quella tedesca. Già da tempo le sirene del protezionismo energetico si stanno facendo sentire, dentro e fuori dai confini europei. E con l’arrivo del freddo il loro canto rischia di diventare irresistibile.